Readme.it in English  home page
Readme.it in Italiano  pagina iniziale
readme.it by logo SoftwareHouse.it


LA NUOVA MELUSINA di Johann Wolfgang Goethe.

 

Egregi signori! So che non amate particolarmente preamboli e discorsi

preliminari, perciò vi assicuro senz'altro che questa volta nutro

buone speranze di evitarli. Ho già raccontato alcune storie vere con

grande soddisfazione di tutti, ma oggi posso dire che ve ne racconterò

una che supera di gran lunga le altre e il cui ricordo, nonostante sia

accaduta diversi anni fa, mi rende ancora inquieto e addirittura mi fa

sperare in uno sviluppo decisivo. Difficilmente ne trovereste una

uguale.

Prima di tutto devo confessare che la mia vita non è sempre stata

organizzata in modo tale da non avere la certezza del futuro già

prossimo, e perfino del domani. Nella mia gioventù non sono stato un

buon amministratore e spesso mi sono trovato in difficoltà

finanziarie. Una volta mi misi in viaggio per procurarmi un buon

guadagno; ma feci le cose un po' troppo alla grande e, dopo esser

partito con una vettura personale e aver proseguito per un certo

periodo con la diligenza ordinaria, alla fine mi trovai costretto a

raggiungere la meta a piedi.

Quand'ero un giovanotto vivace avevo sempre l'abitudine, appena

arrivato in una locanda, di cercare la locandiera, o anche la cuoca e

di lusingarla, così il mio conto in genere veniva ridotto.

Una sera stavo entrando nella stazione di posta di una piccola

cittadina, deciso a comportarmi nel modo solito, quando proprio dietro

di me, davanti alla porta, si fermò con gran fracasso una bella

carrozza a due posti tirata da quattro cavalli. Mi girai e vidi una

donna sola, senza cameriera né servitori. Mi affrettai subito ad

aprire lo sportello e a chiederle se desiderasse qualcosa. Quando

scese rivelò una bella figura, e il suo viso amabile, se lo si

guardava più da vicino, mostrava una lieve ombra di malinconia. Chiesi

di nuovo se potevo esserle utile in qualche modo. - Oh, sì - mi

disse, se volete tirar fuori con attenzione il cofanetto che sta sul

sedile e portarlo su; ma vi prego davvero di non agitarlo o scuoterlo

assolutamente quando lo trasportate -. Presi con cautela il

cofanetto, lei chiuse lo sportello della vettura, salimmo insieme la

scala e lei disse ai servitori che si sarebbe fermata per la notte.

Ora eravamo soli nella stanza, lei mi ordinò di posare il cofanetto

sul tavolo vicino alla parete e io, notando da certi suoi movimenti

che voleva restare sola, mi congedai baciandole la mano

rispettosamente, ma non senza ardore.

- Ordinate la cena per tutti e due - aggiunse; e si può immaginare

con quale piacere adempii al mio compito; nella mia baldanza non

degnai di uno sguardo il locandiere, la moglie e i servitori. Con

impazienza aspettai il momento che finalmente mi avrebbe riportato a

lei. Era pronto in tavola, sedemmo uno di fronte all'altro, e per la

prima volta da molto tempo mi ristorai grazie a un buon pasto e a una

visione tanto ambita: mi sembrava addirittura che a ogni istante

diventasse più bella.

La sua conversazione era piacevole, ma cercava di evitare tutto quello

che si riferiva alla simpatia e all'amore. Sparecchiarono; io

indugiai, provai ogni espediente per avvicinarmi a lei, ma

inutilmente: mi tenne a distanza con una specie di dignità alla quale

non riuscii a oppormi, e contro il mio desiderio dovetti separarmi da

lei presto.

Dopo una notte passata per lo più vegliando e sognando in modo

inquieto, mi alzai di buon'ora; mi informai se avesse ordinato i

cavalli, sentii che non l'aveva fatto, e andai in giardino, la vidi

già vestita alla finestra e mi affrettai a salire. Quando mi venne

incontro così bella, ancora più bella del giorno prima, in me si

agitarono di colpo passione, malizia e audacia; mi gettai su di lei e

la presi tra le braccia. - Creatura angelica, irresistibile! -

esclamai -: perdonami, ma non posso evitarlo! - Con incredibile

abilità si divincolò dalle mie braccia, senza che avessi potuto darle

neppure un bacio sulla guancia. - Contenete questi impeti d'amore

improvviso e appassionato, se non volete giocarvi una felicità che vi

sta vicina, ma che potrete afferrare solo dopo alcune prove.

- Chiedi ciò che vuoi, spirito angelico! - esclamai -, ma non

portarmi alla disperazione -. Lei rispose sorridendo: - Se volete

consacrarvi al mio servizio, ascoltate le condizioni! Sono venuta qui

a trovare un'amica, dalla quale penso di passare alcuni giorni;

intanto vorrei che la mia carrozza e questo cofanetto continuassero il

viaggio. Volete incaricarvene voi? Non dovrete fare altro che

trasportare con cura il cofanetto fuori e dentro la carrozza; quando

si troverà all'interno vi siederete vicino a esso e ne avrete cura.

Quando arriverete in una locanda, lo poserete sul un tavolo, in una

stanza particolare, che voi non potrete occupare e dove non potrete

dormire. Ogni volta chiuderete la stanza con questa chiave, che apre e

chiude qualsiasi serratura e le conferisce una speciale virtù: nessuno

in quell'arco di tempo può aprirla.

La guardai, provando una strana sensazione; promisi di fare ogni cosa,

se solo avessi potuto sperare di rivederla presto, e se lei avesse

suggellato questa speranza con un bacio. Lo fece, e da quel momento

fui suo anima e corpo. Ora dovevo solo ordinare i cavalli, mi disse.

Parlammo della strada da prendere, dei posti dove avrei dovuto sostare

e aspettarla. Infine mi mise in mano una borsa piena di denaro, e io

premetti le labbra sulle sue mani. Al momento del distacco sembrò

commossa, e io non seppi cosa facevo o cosa dovessi fare.

Quando tornai dopo aver dato disposizioni, trovai la porta della

stanza chiusa. Provai subito la mia chiave speciale, che superò la

prova perfettamente. La porta si aprì di scatto, trovai la stanza

vuota, solo il cofanetto era posato sul tavolo dove lo avevo

sistemato.

La carrozza era pronta, portai giù con cura il cofanetto e lo misi

accanto a me. La locandiera chiese: - Dov'è la signora? . Un bambino

rispose: - E' andata in città -. Salutai tutti e me ne andai come in

trionfo, io che ero arrivato lì la sera prima con i gambali pieni di

polvere. Potete facilmente immaginare che approfittando

dell'inattività mi misi a riflettere su questa storia, contai il

denaro, feci alcuni progetti, e ogni tanto lanciavo un'occhiata al

cofanetto. Viaggiai ininterrottamente, non scesi in parecchie stazioni

di posta, e non mi fermai finché non arrivai in una bella città in cui

lei mi aveva convocato. I suoi ordini vennero eseguiti accuratamente,

il cofanetto venne sistemato in una stanza particolare, con vicino un

paio di candele spente, come lei aveva ordinato. Chiusi a chiave la

stanza, mi sistemai nella mia e mi svagai un po'.

Per un po' il ricordo di lei mi tenne occupato, ma ben presto

cominciai ad annoiarmi. Non ero abituato a vivere senza compagnia; la

trovai in fretta ai tavoli delle osterie e nei luoghi pubblici, come

mi piaceva. Fu così che il mio denaro cominciò a volatilizzarsi e una

sera sparì completamente dalla borsa, essendomi abbandonato

incautamente al gioco sfrenato. Quando arrivai nella mia stanza ero

fuori di me. Sprovvisto com'ero di denaro, in attesa di un conto

cospicuo, senza sapere se e quando la mia bella si sarebbe fatta di

nuovo vedere, mi trovai in un grave imbarazzo. Avevo doppiamente

nostalgia di lei, e credetti di non poter più vivere senza di lei e

senza il suo denaro.

Dopo il pasto serale, che non mi piacque per nulla dato che questa

volta fui costretto a gustarmelo in solitudine, camminai agitato su e

giù per la stanza parlando da solo, mi maledissi, mi gettai a terra,

mi strappai i capelli e persi ogni pudore. Di colpo sento un lieve

movimento nella stanza vicina chiusa a chiave, e poco dopo sento

bussare alla porta ben chiusa. Mi ricompongo, afferro la chiave

comune, ma le ante della porta si aprono di scatto da sole, e alla

luce delle candele che ardono mi viene incontro la mia bella. Mi getto

ai suoi piedi, le bacio la veste, le mani, lei mi rialza, io non oso

abbracciarla, nemmeno guardarla; ma le confesso con sincero pentimento

il mio errore. - E' scusabile - disse lei -, ma purtroppo ritardate

la vostra e la mia felicità. Ora dovete di nuovo procedere per un

tratto nel mondo, prima di rivederci. Qui c'è ancora più denaro -

disse -, e basterà se siete disposto a fare qualche economia. Questa

volta il vino e il gioco vi hanno messo in difficoltà, quindi

guardatevi dal vino e dalle donne e lasciatemi sperare in un incontro

più felice.

Indietreggiò oltre la soglia, i battenti si richiusero, io bussai,

pregai, ma non sentii più nulla. Il giorno dopo, quando chiesi il

conto, l'oste sorrise e disse: - Ora sappiamo perché chiudete le

vostre porte in modo tanto complicato e incomprensibile che nessuna

chiave comune poteva aprirle. Pensavamo che teneste molto denaro e

cose preziose, ma ora abbiamo visto scendere dalle scale il tesoro, e

in ogni caso sembra degno di essere ben custodito.

Non risposi niente, pagai il conto e salii in carrozza con il mio

cofanetto. Così me ne andai di nuovo per il mondo con il solido

proposito di badare agli ammonimenti della mia misteriosa amica. Ma

non appena arrivai di nuovo in una grande città, feci conoscenza con

amabili signore dalle quali non riuscii assolutamente a staccarmi.

Sembrava che volessero farmi pagare cari i loro favori; infatti, pur

tenendomi sempre a una certa distanza, mi spingevano a una spesa

dietro l'altra, e poiché cercavo solo di assecondare il loro piacere,

neppure questa volta pensai alla mia borsa, ma continuai a pagare e a

spendere secondo le circostanze. Perciò grandi furono il mio stupore e

la mia gioia quando, alcune settimane dopo, notai che il contenuto

della mia borsa non era ancora diminuito, anzi era sempre piena e

rigonfia come all'inizio. Volli rassicurarmi più da vicino su questa

bella qualità, mi misi a contare, annotai la somma precisa e

ricominciai a vivere allegramente come prima con la mia compagnia. Non

mancarono scampagnate, gite in barca, balli, canti e altri

divertimenti. Ma a quel punto non fu necessaria molta attenzione per

accorgersi che la borsa in realtà diminuiva di peso, proprio come se

io l'avessi privata della virtù di essere inesauribile a causa del mio

maledetto contare. Intanto la mia vita di piaceri aveva preso il via e

non potevo tirarmi indietro, ma il denaro in contanti presto finì.

Maledissi la mia situazione, offesi la mia amica, che mi aveva indotto

in simili tentazioni, mi sentii offeso perché non si era più fatta

vedere, e in preda al risentimento mi considerai sciolto dagli

obblighi verso di lei e decisi di aprire il cofanetto, nel quale forse

avrei potuto trovare un aiuto. Infatti non era abbastanza pesante per

contenere del denaro, ma potevano esserci dei gioielli, che sarebbero

stati graditi. Stavo per attuare il mio proposito, ma decisi di

rimandarlo alla notte per compiere l'operazione in tutta calma, e

andai a un banchetto che era annunciato per quella sera. Si fece

baldoria, ed eravamo molto eccitati a causa del vino e degli squilli

di tromba, quando mi capitò un brutto scherzo: al momento del dolce

entrò inaspettatamente un vecchio amico della mia bellezza preferita,

di ritorno da un viaggio, si sedette accanto a lei e senza tante

cerimonie cercò di far valere i suoi antichi diritti. Ne scaturirono

ben presto irritazione, lite, contesa; ci battemmo e io fui riportato

a casa mezzo morto con diverse ferite.

Il chirurgo mi aveva fasciato e se n'era andato, era già notte fonda,

il mio guardiano dormiva, la porta della stanza vicina si aprì la mia

misteriosa amica entrò e si sedette vicino a me sul letto. Mi chiese

come mi sentissi; io non risposi, perché ero spossato e di cattivo

umore. Lei continuò a parlare con grande sollecitudine e mi strofinò

le tempie con un certo balsamo, che in breve mi fece sentire

decisamente rinvigorito, tanto rinvigorito che riuscii ad arrabbiarmi

e a rimproverarla. In un discorso veemente addossai l'intera colpa

della mia sfortuna a lei, alla passione che mi ispirava, alle sue

apparizioni e alle sue scomparse, alla noia, alla nostalgia che ero

costretto a provare. Divenni sempre più violento, come se una febbre

mi avesse assalito, e alla fine le giurai che se non fosse stata mia,

se questa volta rifiutava di appartenermi e di unirsi a me, non avrei

voluto vivere più a lungo; ed esigevo una risposta precisa. Quando

vidi che esitava, trattenendosi dal darmi una spiegazione, persi la

testa e mi strappai dalle ferite la doppia e tripla fasciatura, con il

fermo proposito di dissanguarmi. Ma quale fu il mio stupore, quando

notai che le mie ferite erano tutte guarite, il mio corpo era bello e

intatto e lei si trovava fra le mie braccia.

Ora eravamo la coppia più felice del mondo. Ci chiedemmo perdono

reciprocamente, senza sapere bene perché. Lei promise di continuare il

viaggio con me, e presto ci trovammo seduti uno vicino all'altra in

carrozza, con il cofanetto di fronte a noi, al posto della terza

persona. Non l'avevo mai nominato in sua presenza; neppure adesso mi

venne in mente di parlarne, malgrado fosse sotto i nostri occhi e ce

ne occupassimo tutti e due, come per un tacito accordo, a seconda

delle circostanze; io lo trasportavo dentro e fuori della carrozza e,

come prima, provvedevo a chiudere le porte a chiave.

Finché era rimasto qualcosa nella borsa avevo sempre pagato; quando il

denaro in contanti finì glielo feci notare. - Un rimedio si trova

facilmente - disse lei, e indicò un paio di piccole borse attaccate

in alto su un fianco della carrozza, che io avevo già notato ma che

non avevo mai usato. Lei infilò la mano in una di esse e tirò fuori

alcune monete d'oro, poi dall'altra delle monete d'argento, e mi

mostrò che era possibile continuare a spendere quanto desideravamo.

Così viaggiammo di città in città, di paese in paese, eravamo felici

tra di noi e con gli altri, e io non pensavo che mi potesse lasciare

di nuovo, tanto più che da qualche tempo era sicuramente incinta,

circostanza che aveva aumentato la nostra felicità e il nostro amore.

Ma purtroppo una mattina non la trovai più, e poiché il soggiorno

senza di lei mi annoiava, mi misi di nuovo in strada con il mio

cofanetto, saggiai la consistenza delle due borse e le trovai sempre

intatte.

Il viaggio proseguì felicemente, e se fino a quel momento non avevo

avuto voglia di riflettere sulla mia avventura, perché aspettavo uno

sviluppo del tutto naturale di quegli eventi straordinari, tuttavia

capitò qualcosa che mi stupì, mi preoccupò e addirittura mi spaventò.

Dato che ero abituato a viaggiare ininterrottamente per spostarmi, mi

succedeva spesso di farlo nell'oscurità, e nella mia carrozza, quando

per caso le lanterne si spegnevano, era molto buio. Una volta, in una

di queste notti scure, mi ero addormentato, e quando mi svegliai vidi

il bagliore di una luce sul tetto della carrozza. La osservai e mi

accorsi che usciva dal cofanetto, che sembrava avere una fenditura,

proprio come se il tempo caldo e secco dell'estate che era

sopraggiunta lo avesse spaccato. Le mie idee sui gioielli si

risvegliarono, pensai che nel cofanetto ci fosse un rubino, e volli

accertarmene. Mi sistemai il meglio possibile, in modo da toccare

direttamente con l'occhio la fenditura. Ma grande fu il mio stupore

quando vidi all'interno una stanza arredata con molto gusto e perfino

con sfarzo, ben illuminata dalle lampade, proprio come se avessi

guardato in una sala reale attraverso l'apertura di una volta. Potevo

osservare solo una parte dell'ambiente, che lasciava indovinare il

resto. Un fuoco pareva ardere nel camino, vicino al quale c'era una

poltrona. Trattenni il respiro e continuai a osservare. Dall'altro

lato della sala arrivò una donna con un libro in mano, e subito

riconobbi mia moglie, sebbene la sua figura si fosse ridotta a

proporzioni minuscole. La bella si sedette in poltrona a leggere,

vicino al camino, attizzò il fuoco con delle molle molto graziose, e

potei notare chiaramente che anche la cara piccola creatura era

incinta. In quel momento fui costretto a spostarmi un po' dalla mia

scomoda posizione, e subito dopo, quando osservai nuovamente per

convincermi che non era stato un sogno, la luce era scomparsa e mi

trovai a guardare in un'oscurità vuota.

Si può immaginare come fossi stupito, anzi spaventato. Mi vennero

mille pensieri su questa scoperta, non riuscivo proprio a spiegarmela.

E così mi addormentai, e quando mi svegliai credetti di avere solo

sognato; eppure mi sentii in qualche modo estraneo alla mia bella, e

portando il cofanetto con cura tanto maggiore, non sapevo se dovevo

augurarmi o temere il suo ritorno alla dimensione umana. Dopo qualche

tempo la mia bella entrò effettivamente, verso sera, con un abito

bianco, e poiché la stanza era in penombra mi sembrò più alta del

solito, e ricordai di aver sentito che tutti coloro che appartengono

alla stirpe delle ninfe e degli gnomi, quando si fa notte crescono

notevolmente d'altezza. Come al solito volò fra le mie braccia, ma

l'angoscia non mi permise di stringermela al petto con autentica

gioia.

- Mio caro - disse lei -, sento dalla tua accoglienza quello che

purtroppo so già. Tu mi hai visto in questo periodo di tempo; sei

informato della condizione in cui mi trovo in certi momenti, e questo

ha interrotto la tua e la mia felicità, anzi sta per annientarla del

tutto. Devo lasciarti, e non so se un giorno ti rivedrò -. La sua

presenza, la grazia con cui parlava, allontanò subito quasi ogni

ricordo del viso che fino a quel momento aveva aleggiato davanti a me

come un sogno. La abbracciai con ardore, la convinsi della mia

passione, le assicurai la mia innocenza, le raccontai della casualità

della mia scoperta, insomma tanto feci che lei stessa sembrò

tranquillizzarsi, e cercò di tranquillizzare anche me.

- Devi chiederti sinceramente - disse - se questa scoperta non ha

compromesso il tuo amore, se puoi dimenticare che mi trovavo vicino a

te in due sembianze diverse, se il rimpicciolirsi del mio essere non

diminuirà anche il tuo affetto.

La guardai; era più bella che mai, e pensai fra me e me: «E' poi una

disgrazia tanto grande avere una moglie che ogni tanto diventa

minuscola, che si può portare in giro dentro un cofanetto? Non sarebbe

peggio se diventasse gigantesca e mettesse suo marito nel cofanetto?».

Mi era tornata l'allegria. Per niente al mondo l'avrei lasciata

andare. - Amore mio - le risposi -, lascia che restiamo così come

siamo stati finora. Tutti e due non potremmo stare meglio! Fa' come ti

è comodo, e io ti prometto di portare il cofanetto con maggior cura.

Come potrebbe farmi una brutta impressione la cosa più graziosa che io

abbia visto nella mia vita? Come sarebbero felici gli innamorati se

potessero avere simili miniature! E in fondo era solo una di queste

immagini, un piccolo gioco di prestigio. Tu mi metti alla prova e mi

stuzzichi; ma vedrai come mi comporterò.

- La questione è più seria di quanto pensi - disse la bella -;

comunque sono contenta che tu la prenda con allegria, infatti possono

venirne conseguenze molto felici per tutti e due. Voglio avere fiducia

in te e farò il possibile da parte mia; ma devi promettermi di non

ripensare mai a questa scoperta con biasimo. E a questo proposito

aggiungo un'altra preghiera pressante: guardati più di prima dal vino

e dall'ira.

Le promisi quello che desiderava, e avrei continuato a farle promesse,

ma lei stessa cambiò discorso e tutto tornò come prima. Non avevamo

motivo di cambiare posto del nostro soggiorno; la città era grande, la

compagnia numerosa, la stagione offriva l'occasione per qualche festa

campestre e ricevimenti in giardino.

In tutti questi divertimenti la mia compagna era molto ben vista,

addirittura reclamata con entusiasmo da uomini e donne. Un

atteggiamento benevolo, amabile, accattivante, unito a una certa

nobiltà di modi, la rendevano gradita e degna di stima agli occhi di

tutti. Inoltre suonava magnificamente il liuto e cantava, e ogni

serata lieta doveva essere coronata dal suo talento.

Devo confessare che non mi era mai importato molto della musica, che

anzi aveva su di me un effetto sgradevole. La mia bella, che se n'era

accorta presto, non cercò mai di intrattenermi con la musica quando

eravamo soli; invece sembrava rifarsi in società, dove trovava una

quantità di ammiratori.

E ora, perché dovrei negarlo, la nostra ultima conversazione, malgrado

la mia buona volontà, non era stata sufficiente per me a risolvere del

tutto la questione; piuttosto la mia sensibilità si dispose in modo

singolare, senza che io ne fossi completamente consapevole. Una sera,

alla presenza di molte persone, la mia rabbia repressa esplose, e me

ne derivò il massimo del danno.

Se ora ci rifletto bene, dopo quella infelice scoperta amavo molto

meno la mia bella, ed ero diventato geloso di lei, mentre prima non mi

era mai venuto in mente. Di sera, a tavola, eravamo seduti

diagonalmente uno rispetto all'altra, a una certa distanza, e io mi

trovavo molto bene fra le mie due vicine, un paio di signore che da

qualche tempo mi sembravano attraenti. Fra discorsi scherzosi e

schermaglie amorose non si lesinava il vino, mentre dall'altra parte

due invitati appassionati di musica si erano impadroniti di mia

moglie, e riuscirono a spingere la compagnia a cantare, in coro e in

assolo. Questo mi mise di malumore; i due amanti dell'arte mi

sembrarono entrambi importuni; il canto mi irritò, e quando richiesero

anche a me una strofa mi infuriai davvero, vuotai la coppa e la posai

molto bruscamente.

L'avvenenza delle mie vicine riuscì di nuovo a placarmi, ma l'ira è

una brutta cosa una volta accesa. Continuò a ribollire in me

segretamente, anche se tutto avrebbe dovuto predispormi alla gioia,

alla condiscendenza. Invece diventai ancora più ostile, quando

portarono il liuto e la mia bella accompagnò il suo canto suscitando

l'ammirazione degli altri. Sfortunatamente chiesero che tutti

facessero silenzio. Quindi non potevo neppure più chiacchierare, e i

suoni mi facevano digrignare i denti. C'è da stupirsi se alla fine

bastò una piccolissima scintilla ad accendere la mina?

La cantante, finita una canzone fra grandi applausi, guardò verso di

me, a dire il vero amorevolmente. Purtroppo i suoi sguardi non mi

penetrarono. Lei si accorse che avevo appena mandato giù una coppa di

vino e me ne riempivo un'altra. Con l'indice della mano destra mi fece

un cenno di affettuosa minaccia. - Pensa che è vino! - disse con un

tono di voce sufficientemente alto da farsi sentire da me. - L'acqua

è per le ninfe! - esclamai. - Signore - disse alle mie vicine -,

adornate la coppa con ogni grazia, in modo che non si vuoti troppo

spesso. - Non vi lascerete dominare! - mi bisbigliò una delle due

all'orecchio. - Che vuole la nana? - gridai, comportandomi con tale

irruenza da rovesciare la coppa. - Se n'è versato molto! - esclamò

la splendida creatura; e trasse un suono dalle corde, come a voler

attirare di nuovo su di sé l'attenzione della compagnia distogliendola

dall'incidente. E le riuscì davvero, tanto più quando si alzò, solo

fingendo di volersi sistemare più comodamente per suonare, e continuò

a preludiare.

Quando vidi scorrere il vino rosso sulla tovaglia tornai in me.

Riconobbi di aver commesso un grave errore, e mi sentii intimamente

pentito. Per la prima volta la musica mi parlava. La prima strofa che

lei cantò era un commiato amichevole rivolto alla compagnia, che

ancora poteva sentirsi unita. Alla strofa seguente fu come se la

comitiva si disperdesse, e ognuno si sentì solo, e separato dagli

altri, nessuno credette più di essere presente. Che posso dire

dell'ultima strofa? Era rivolta solo a me, era la voce dell'amore

ferito, che dà l'addio al malumore e alla spavalderia.

In silenzio la portai a casa, e non mi aspettavo niente di buono. Ma

appena raggiunta la nostra stanza, si mostrò molto affettuosa e dolce,

addirittura scherzosa, e mi rese il più felice degli uomini.

Il mattino dopo le dissi fiducioso e pieno d'amore: - Più d'una volta

hai cantato su richiesta di una bella compagnia, per esempio ieri sera

quella commovente canzone d'addio; canta ancora una volta per amor mio

un lieto, leggiadro canto di benvenuto in quest'ora mattutina, perché

sia come se ci conoscessimo per la prima volta.

- Non posso farlo, amico mio - mi rispose con gravità -. La canzone

di ieri sera si riferiva alla nostra separazione, che dovrà avvenire

senza indugio: posso dirti solo che l'offesa recata alla promessa e al

giuramento avrà per noi le peggiori conseguenze; ti sei giocato una

grande felicità, e anch'io devo rinunciare ai miei desideri più cari.

Quando insistetti, pregandola di spiegarsi più chiaramente, rispose:

- Questo posso farlo, purtroppo, perché si tratta di qualcosa che

riguarda la mia vita con te. Ora saprai quello che avrei preferito

nasconderti il più a lungo possibile. Le sembianze in cui mi hai vista

dentro il cofanetto sono quelle a me naturali e innate; infatti

appartengo alla stirpe del re Eckwald, il potente principe degli

gnomi, di cui tanto parla la storia vera. Il nostro popolo è sempre

attivo e operoso, ora come fin dai tempi più lontani, e anche per

questo è facile da governare. Ma non devi immaginare che gli gnomi

siano rimasti indietro nelle loro attività. Una volta i loro lavori

più famosi erano le spade che inseguivano i nemici, se venivano

lanciate dietro a loro, catene che si stringevano invisibili e

misteriose, scudi impenetrabili e altre cose simili. Ora, però, si

occupano soprattutto di oggetti che riguardano le comodità e gli

ornamenti, e in questo sono superiori a tutti i popoli della Terra. Ti

stupiresti se visitassi le nostre officine e i nostri magazzini. Tutto

questo andrebbe molto bene, se non intervenisse una circostanza

particolare che riguarda l'intero popolo e specialmente la famiglia

reale.

Poiché si fermò un momento, le chiesi di rivelarmi qualcosa di più di

quegli straordinari segreti, e lei acconsentì subito.

- E' risaputo - disse - che Dio, appena ha creato il mondo, poiché

tutta la Terra era asciutta e le montagne erano là possenti e

maestose, Dio, dicevo, prima di ogni altra cosa creò i piccoli gnomi,

perché ci fossero anche esseri intelligenti che potessero guardare con

stupore le sue meraviglie all'interno della Terra, in gallerie e

abissi, e le onorassero. Inoltre si sa che questa piccola razza, in

seguito, si è sollevata e ha pensato di arrogarsi il dominio della

Terra, e perciò Dio ha creato i draghi, per respingere il popolo degli

gnomi nelle montagne. Ma poiché i draghi si annidarono anche loro

nelle grandi caverne e nei crepacci e presero l'abitudine di abitare

là, e molti di essi sputarono fuoco e causarono altre devastazioni, ai

piccoli gnomi ne vennero grandi difficoltà e preoccupazioni, tanto che

non seppero più che cosa fare, e perciò si rivolsero a Dio, umili e

supplichevoli, e nelle loro preghiere lo implorarono di annientare di

nuovo questo spregevole popolo di draghi. Ma anche se, nella sua

saggezza, lui non poteva decidersi a distruggere le sue creature, la

grande pena dei poveri gnomi lo commosse tanto che senza indugio creò

i giganti, che avrebbero lottato contro i draghi, e anche se non li

avessero sterminati, almeno li avrebbero ridotti di numero.

Ma quando i giganti riuscirono più o meno a spuntarla con i draghi,

anche dentro di loro crebbero l'audacia e la boria, e perciò commisero

dei misfatti, specialmente contro i buoni gnomi, che una volta di più,

trovandosi in difficoltà, si rivolsero al Signore, che dalla sua

grande potenza creò i cavalieri, che avrebbero lottato contro i

giganti e i draghi e avrebbero vissuto in buona armonia con gli gnomi.

E così l'opera della creazione, da questo lato, era conclusa, e in

seguito giganti e draghi si troveranno sempre uniti, come i cavalieri

e gli gnomi. Da questo, amico mio, puoi vedere che noi siamo la razza

più antica del mondo, il che torna a nostro onore ma porta con sé

anche un grosso svantaggio.

Poiché nel mondo niente può esistere in eterno, ma tutto ciò che una

volta è stato grande deve diventare piccolo e ridursi, anche nel

nostro caso, a partire dalla creazione del mondo, siamo diminuiti

diventando sempre più piccoli; prima d'ogni altra, però, la famiglia

reale, che a causa del suo sangue puro è soggetta per prima a questo

destino. Perciò i nostri saggi maestri già da molti anni hanno

escogitato un espediente, e così ogni tanto una principessa reale

viene mandata fuori sulla Terra per sposare un onesto cavaliere,

cosicché la razza degli gnomi si rinvigorisca e si salvi da una

completa decadenza.

Mentre la mia bella pronunciava queste parole con assoluta

schiettezza, la guardai pensieroso, perché sembrava che avesse voglia

di rivelarmi qualcosa. Non avevo più dubbi per quanto riguardava la

sua graziosa origine; ma mi rendeva un po' diffidente il fatto che

avesse preso me invece di un cavaliere, dato che mi conosceva fin

troppo bene per poter credere che i miei antenati fossero stati creati

direttamente da Dio.

Nascosi stupore e perplessità, e le chiesi con affetto: - Ma dimmi,

mia cara bambina, come hai potuto assumere quest'aspetto così

imponente e bello? Conosco poche donne che possano paragonarsi a te

per la splendida figura. - Lo saprai rispose la mia bella -. Da

sempre viene tramandato nel Consiglio dei re degli gnomi di guardarsi

il più a lungo possibile da ogni misura straordinaria, cosa che

anch'io ritengo del tutto naturale e ragionevole. Forse avremmo

aspettato ancora a lungo prima di inviare un'altra volta una

principessa sulla terra, se il fratello nato dopo di me non fosse

stato tanto piccolo che le sue balie l'hanno perso dalle fasce, e non

si sa bene dove sia finito. Dopo questo caso inaudito, mai registrato

negli annali del regno degli gnomi, i saggi si riunirono e, per farla

breve, venne presa la decisione di mandarmi a cercare un marito.

- La decisione! - esclamai -; è tutto giusto e bello. Si può

prendere una decisione, si può stabilire qualcosa; ma i vostri saggi,

come sono riusciti a dare a uno gnomo questa figura divina?

- Anche questo - disse lei - era già stato previsto dai nostri avi.

Nel tesoro reale c'era un enorme anello d'oro. Ora ti parlo di come mi

sembrò quando mi venne mostrato una volta, da bambina, dove si

trovava: infatti è lo stesso che ora ho al dito; e poi si andò avanti

in questo modo. Mi informarono di tutto quello che stava per

succedere, e mi insegnarono quello che avrei dovuto fare e non fare.

Venne costruito un magnifico palazzo, secondo il modello della

residenza estiva dei miei genitori: un edificio centrale, ali laterali

e tutto quello che si poteva desiderare. Era posto all'entrata di un

grande anfratto di roccia, e lo adornava nel modo migliore. Nel giorno

stabilito la Corte vi si trasferì e i miei genitori insieme con me.

L'esercito sfilò in parata e ventiquattro sacerdoti portarono su una

preziosa lettiga, non senza difficoltà, il meraviglioso anello. Fu

posato sulla soglia dell'edificio, proprio dove si passa per entrare.

Furono compiute delle cerimonie, e dopo un affettuoso congedo passai

all'azione. Mi avvicinai, appoggiai la mano sull'anello e cominciai

subito a crescere sensibilmente. In pochi minuti avevo raggiunto la

mia altezza di adesso; dopo di che misi immediatamente l'anello al

dito. In un attimo finestre, porte e portoni si chiusero, le ali

laterali si ritirarono nel corpo centrale, al posto del palazzo,

vicino a me c'era un cofanetto che presi subito e portai via non senza

la piacevole sensazione di essere così grande e forte, ma sempre uno

gnomo rispetto agli alberi e alle montagne e ai fiumi, e sempre un

gigante in confronto all'erba e alle piante e specialmente alle

formiche, con le quali noi gnomi non sempre abbiamo buoni rapporti, e

perciò ci tormentano spesso violentemente.

Avrei molto da raccontare su quel che successe prima di trovarti,

durante il mio pellegrinaggio. In breve, misi alla prova qualcuno, ma

nessuno mi sembrò degno di rinnovare ed eternare la stirpe del

magnifico Eckwald.

Durante tutti questi racconti la testa mi dondolò senza che io la

scuotessi. Feci diverse domande, alle quali però non ricevetti

risposte particolari, mentre seppi con la massima tristezza che doveva

far ritorno per forza dai suoi genitori dopo quello che era successo.

Sperava di tornare da me, ma ora doveva inevitabilmente presentarsi

là, perché altrimenti tutto sarebbe stato perduto sia per me che per

lei. Le borse presto avrebbero smesso di pagare, con tutto quello che

ne sarebbe derivato.

Avendo sentito che il denaro poteva finire, non chiesi più che altro

potesse succedere. Scossi le spalle, tacqui, e lei sembrò capirmi.

Raccogliemmo tutto e sedemmo in carrozza; di fronte a noi era posato

il cofanetto, nel quale non riuscii a notare ancora niente di un

palazzo. Oltrepassammo diverse stazioni di posta. Il denaro per il

viaggio e le mance venne pagato agevolmente e con abbondanza dalle due

piccole borse sistemate a destra e a sinistra, finché raggiungemmo una

regione montuosa, e appena scesi la mia bella mi precedette e io, per

suo ordine, la seguii con il cofanetto. Mi portò su sentieri

abbastanza ripidi fino a una stretta valle, attraverso la quale un

limpido ruscello ora precipitava ora serpeggiava tranquillo. Allora mi

mostrò un pianoro elevato, mi ordinò di posare il cofanetto e disse:

Addio: troverai facilmente la strada del ritorno; ricordati di me,

spero di rivederti.

In quel momento mi sembrò di non poterla lasciare. Era di nuovo in una

delle sue belle giornate o, se preferite, nel suo momento migliore. Da

solo con una creatura così graziosa, sul prato verde, tra erba e

fiori, circondati dalle rocce, con l'acqua che mormorava: quale cuore

sarebbe rimasto insensibile! Volevo prenderle le mani, abbracciarla,

ma lei mi respinse e mi minacciò, con la consueta dolcezza, di un

grave pericolo, se non mi fossi allontanato immediatamente.

- Non c'è nessuna possibilità - esclamai che io resti vicino a te,

che tu possa tenermi con te? -. Accompagnai queste parole con gesti e

toni così afflitti che lei sembrò commossa e dopo un momento di

riflessione mi confessò che non era impossibile che la nostra unione

continuasse. Chi era più felice di me! La mia insistenza che diventava

sempre più vivace, alla fine, la costrinse a parlare e a rivelarmi

che, se mi fossi deciso a diventare piccolo come lei, come l'avevo

vista quella volta, avrei potuto restarle vicino, entrare nella sua

casa, nel suo regno, far parte della sua famiglia. Questa proposta non

mi piacque completamente, ma in quel momento non potevo staccarmi da

lei; così, essendo abituato da qualche tempo a cose straordinarie e

disposto a prendere decisioni rapide, acconsentii e dissi che poteva

fare di me ciò che voleva.

Immediatamente dovetti stendere il mignolo dalla mano sinistra, e lei

vi appoggiò il suo, si tolse piano l'anello con la sinistra e lo fece

scivolare al mio dito. Appena questo accadde, sentii un dolore

violento al dito, l'anello si strinse e mi torturò orribilmente.

Lanciai un urlo acuto e involontariamente cercai a tastoni intorno a

me la mia bella, che era scomparsa. Non saprei esprimere come mi sono

sentito in quel momento, e non mi resta niente altro da dire eccetto

che mi ritrovai ben presto piccolo e basso, accanto alla mia bella, in

un bosco di fili d'erba. La gioia di rivederla dopo una separazione

breve ma tanto singolare, o se volete, di riunirci senza più

separazione, era inaudita. Mi gettai al suo collo, lei ricambiò le mie

carezze, e la piccola coppia si sentì felice quanto la grande.

Con un certo disagio risalimmo una collina; infatti il prato per noi

era diventato quasi un bosco impenetrabile. Comunque alla fine

arrivammo in una radura, e mi stupii molto vedendo la grande massa

squadrata, che fui ben presto in grado di riconoscere: era il

cofanetto, nelle condizioni in cui l'avevo posato là.

- Va', amico mio, batti con l'anello e vedrai miracoli - disse la mia

amata. Mi avvicinai, e appena picchiai vissi davvero il più grande dei

miracoli. Spuntarono due ali laterali, e contemporaneamente diverse

parti calarono come scaglie e schegge, infatti di colpo mi trovai

davanti agli occhi porte, finestre, colonnati e tutto quello che fa

parte di un palazzo completo.

Chi ha visto un artistico scrittoio di Rontgen, in cui con una mossa

si mettono in moto molle e scomparti, e contemporaneamente o uno dopo

l'altro si estraggono leggio e occorrente per scrivere, cassette per

le lettere e per il denaro, può farsi un'idea di come si sviluppò quel

palazzo, dove la mia dolce accompagnatrice mi trascinò. Nel salone

riconobbi subito il camino, che una volta avevo visto dall'alto, e la

poltrona su cui lei si era seduta. E quando guardai in alto credetti

davvero di vedere nella cupola ancora qualcosa della fenditura

attraverso la quale avevo guardato all'interno. Vi risparmio la

descrizione del resto; insomma tutto era ampio, prezioso e pieno di

gusto. Mi ero appena ripreso dallo stupore, quando sentii da lontano

una musica militare. La mia bella metà fece un salto dalla gioia e mi

annunciò con entusiasmo l'arrivo del suo signor padre. Allora passammo

sotto la porta e vedemmo uno splendido corteo, che sembrava muoversi

da una grande anfratto di roccia. Si susseguirono soldati, servitori,

maggiordomi e un magnifico seguito di cortigiani. Alla fine vidi una

calca dorata, in mezzo alla quale c'era il re in persona. Quando tutto

il corteo si dispose davanti al palazzo, il re si avvicinò con i

membri più importanti del seguito. La sua incantevole figlia gli corse

incontro trascinandomi con sé, ci gettammo ai suoi piedi, lui mi

rialzò molto benevolmente, e quando mi trovai davanti a lui mi resi

conto che in questo piccolo mondo la mia era la statura più

considerevole. Andammo insieme verso il palazzo, e il re in presenza

della sua Corte, con un discorso ben studiato in cui esprimeva il suo

stupore di trovarci in quel posto, si degnò di darci il benvenuto, mi

riconobbe come genero e dispose la cerimonia nuziale per l'indomani.

Provai all'improvviso una sensazione di spavento, quando sentii

parlare di matrimonio: infatti finora l'avevo temuto più della stessa

musica, che pure mi sembrava quanto di più odioso vi fosse sulla

Terra. Quelli che fanno della musica, ero solito dire, almeno

immaginano di essere in accordo fra di loro e di agire in armonia:

infatti quando hanno accordato gli strumenti abbastanza a lungo e ci

hanno lacerato le orecchie con stonature di ogni tipo, si ostinano a

credere di esserne ormai venuti a capo e che uno strumento si accordi

perfettamente all'altro. Perfino il direttore d'orchestra è partecipe

di questa felice illusione e quindi attacca gioiosamente, e intanto a

noi altri continuano a rintronare le orecchie. Invece nel matrimonio

non è neppure questo il caso: infatti, malgrado si tratti solo di un

duetto, e dunque si dovrebbe pensare che due voci, o due strumenti,

potrebbero trovare un relativo accordo, questo capita invece

raramente; se l'uomo dà un tono la donna lo prende subito più alto, e

l'uomo più alto ancora; allora si passa dal la al tono corale, e poi

sempre più in alto, finché gli stessi strumenti a fiato non riescono

più a seguirli. E quindi, poiché la musica armonica mi dà fastidio,

tanto meno mi si può dar torto se non posso soffrire quella

disarmonica.

Non posso e non voglio raccontare tutti i festeggiamenti in cui si

esaurì la giornata; infatti vi feci molto poco caso. Il cibo

raffinato, il vino eccellente, niente riuscì a piacermi. Pensavo e

ripensavo a cosa avrei fatto. Ma non c'era molto da escogitare. Decisi

che, appena fosse stata notte, per farla breve, me ne sarei andato,

per nascondermi da qualche parte. Raggiunsi felicemente una fenditura

nella roccia in cui riuscii a introdurmi a forza e a nascondermi come

potei. La mia preoccupazione fu quella di liberarmi il dito dal

disgraziato anello, cosa che non mi riuscì assolutamente, anzi sentii

che diventava sempre più stretto appena pensavo di sfilarmelo, e

provavo anche violenti dolori, che però si calmavavano immediatamente

appena rinunciavo dal mio proposito.

Mi alzai di prima mattina - infatti la mia piccola persona aveva

dormito molto bene - con l'intenzione di guardarmi di nuovo intorno,

quando sembrò che cominciasse a piovere su di me. Infatti tra erba,

foglie e fiori cadevano una quantità di sabbia e carbone, e come mi

spaventai quando tutto intorno a me si animò e un'interminabile

esercito di formiche mi si gettò addosso. Me ne ero appena accorto,

quando mi attaccarono da ogni parte, e nonostante io mi difendessi

subito vivacemente e con un certo coraggio, alla fine mi ricoprirono

tanto, pizzicandomi e tormentandomi, che fui felice quando sentii

gridare di arrendermi. In effetti mi arresi subito, dopo di che una

formica di statura considerevole mi si avvicinò cortesemente,

addirittura con deferenza, e si raccomandò al mio favore. Seppi che le

formiche erano diventate alleate di mio suocero, e che lui in questa

occasione le aveva richiamate ordinando loro di prendermi. Ero un

piccolo essere nelle mani di esseri ancora più piccoli. Pensai al

matrimonio, e dovevo ringraziare Dio se mio suocero non era in collera

e la mia bella non era seccata con me.

Consentitemi di tacere su tutte le cerimonie; per farla breve eravamo

sposati. Eppure, nonostante ci fosse allegria tra noi, c'erano delle

ore solitarie durante le quali si era indotti a riflettere, e mi

capitò quello che ancora non mi era mai accaduto; vi rivelerò cosa e

in che modo.

Tutto intorno a me era perfettamente adeguato alla mia nuova statura e

alle mie esigenze, le bottiglie e i bicchieri erano proporzionati al

piccolo bevitore, anzi, se si vuole, di una misura relativamente

migliore che da noi. Il mio piccolo palato trovava eccellenti i

bocconi prelibati, un bacio dalla boccuccia di mia moglie era davvero

incantevole, e non nego che la novità mi rendeva tutte queste

circostanze molto gradevoli. Ma purtroppo non avevo dimenticato la mia

precedente condizione. Sentivo in me una misura della mia antica

grandezza che mi rendeva inquieto e infelice. Allora capii per la

prima volta quello che i filosofi vorrebbero intendere parlando dei

loro ideali, dai quali sembra che gli uomini siano tanto tormentati.

Avevo un ideale di me stesso, e a volte in sogno mi sembrava di essere

un gigante. Per farla breve, la donna, l'anello, la figura da gnomo,

tanti altri vincoli mi rendevano totalmente infelice, tanto che

cominciai a pensare seriamente alla mia liberazione.

Poiché ero convinto che tutto l'incantesimo fosse nascosto

nell'anello, decisi di limarlo. Perciò sottrassi al gioielliere di

Corte alcune lime. Fortunatamente ero mancino, e in vita mia non avevo

fatto mai niente con la destra. Mi misi a lavorare sodo; non era cosa

da poco: infatti il cerchietto d'oro, per quanto paresse sottile, in

proporzione era diventato più spesso rispetto alla dimensione che

aveva prima di ritirarsi. In tutte le ore libere mi dedicai

inosservato a questa occupazione, e fui abbastanza accorto, quando il

metallo fu segato, da mettermi davanti alla porta. Ci ero riuscito:

infatti di colpo il cerchio d'oro saltò con forza dal dito, e la mia

persona fu lanciata in alto con tale violenza che credetti davvero di

aver toccato il cielo e in ogni caso di aver sfondato la cupola del

nostro palazzo estivo, anzi di aver distrutto con la mia nuova

goffaggine l'intero edificio.

Ero di nuovo in piedi, senz'altro molto più grande ma anche, mi

sembrò, molto più sciocco e maldestro. E quando mi ripresi dallo

stordimento vidi vicino a me il cofanetto; lo trovai abbastanza

pesante quando lo sollevai e lo portai giù per il sentiero verso la

stazione di posta, dove feci subito attaccare i cavalli e partii.

Durante il viaggio feci senza indugio un tentativo con le piccole

borse sistemate ai due lati. Al posto del denaro, che sembrava

esaurito, trovai una piccola chiave; apparteneva al cofanetto, nel

quale trovai un qualche risarcimento. Finché durò, mi servii della

carrozza; poi la vendetti per proseguire con la diligenza di posta. Mi

disfeci del cofanetto solo alla fine, perché pensavo sempre che si

sarebbe potuto riempire un'altra volta, e così alla fine, anche se

facendo un giro piuttosto lungo, arrivai di nuovo in cucina dalla

cuoca, dove mi avete conosciuto prima.